Copias de Caravaggio

Me manda un usuario anónimo, al que agradezco su interés, un link para poder acceder a la página italiana en la que se muestra esta copia de la cena de Emaús, que seguramente tampoco será la última que se haya catalogado. La foto no tiene la resolución de la que saqué del Diario del Alto Aragón pero es suficiente para comprobar que se trata de otra muy buena reproducción del famoso cuadro de Caravaggio. Se guarda en la Galleria Regionale della Sicilia, en Palermo



Esta es la copia, recuperada recientemente, que estaba en la ermita de Las Mártires y ahora puede disfrutarse en Museo Diocesano. Formará parte de la exposición Lastanosa a partir del día 24.


Por si existe algún interesado en el estudio de esta segunda copia, coloco el texto íntegro de la página a la que me ha remitido el amable anónimo:

"Ignoto, XVII secolo
Cena in Emmaus
(copia da Caravaggio, entro il quarto decennio del XVII secolo)
olio su tela, cm 134 _ 203
Palermo, Galleria Regionale della Sicilia, inv. 5210

Il dipinto, oggetto di studio recente da parte di Bernini (1997 e 1999), è copia pressoché coeva e fedele (se ne differenzia solo nei motivi decorativi del tappeto di foggia orientale steso sulla mensa e in qualche altro particolare) della Cena in Emmaus di Caravaggio oggi nella National Gallery di Londra, eseguita con certezza nel 1601 per Ciriaco Mattei ma ben presto (ante 1616) ceduta al potente cardinale Scipione Borghese, collezionista del pittore, giunto a Roma nel 1605 (Marini 1987, pp. 416-418; Testa 1995, con precedente bibliografia).
Com’è noto, il tema – vale a dire il riconoscimento di Cristo ad Emmaus da parte dei due apostoli nell’attimo in cui Egli benedice e spezza il pane – è tratto dal Vangelo di Luca (24, 30) e conferma, secondo l’analisi iconografica di Calvesi (1990, p. 255), la familiarità del Caravaggio con i simboli eucaristici e cristologici. «Il Cristo giovanile, senza barba, corrisponde al Cristo apollineo paleocristiano, secondo il recupero controriformistico del primo cristianesimo e l’inserimento della canestra di frutta sulla tavola, tra il pane e il vino, assume un significato sacrale, alludendo simbolicamente alla morte e alla resurrezione di Cristo» (Testa 1995).
Della tela palermitana – pressoché simile all’originale anche nelle dimensioni, ma per Bernini «di minore concentrazione» e «materia più leggera» – non s’è mai potuta appurare finora l’originaria provenienza; ma una cosa è certa: stranamente, alle raccolte di Palazzo Abatellis, Galleria ex Nazionale della Sicilia, essa non perviene dal vecchio Museo Nazionale di Palermo assieme a tutto il resto delle opere d’arte medievale e moderna.
Come ho avuto modo di appurare recentemente, in occasione degli studi condotti per questa mostra (cfr. ivi saggio Abbate), essa in realtà è da identificare con quella copia «di alta qualità» dell’Emmaus di Londra vista nell’aprile del 1958 da Alfred Moir, su segnalazione dell’allora soprintendente alle Gallerie della Sicilia Raffaello Delogu, presso il Palazzo Arcivescovile di Monreale e resa nota qualche anno dopo (Moir 1962) con attribuzione ad Alonzo Rodriguez che, a suo parere, l’avrebbe dipinta a Roma e successivamente portata in Sicilia. Più tardi lo studioso (Moir 1976) l’avrebbe annoverata tra le numerose copie dell’Emmaus di Londra, ricordandola ancora presso l’Arcivescovado monrealese, ignaro però che nel frattempo, dopo il restauro del 1961, appuratane la pertinenza demaniale, il Delogub ne aveva disposto il ritiro e l’inventariazione tra i beni patrimoniali dell’allora Galleria Nazionale della Sicilia.
In virtù dell’antica appartenenza a qualche complesso monasteriale soppresso dello stretto comprensorio monrealese, ho ipotizzato in questa stessa sede una probabile originaria provenienza del dipinto dall’abbazia di Santa Maria d’Altofonte o del Parco, di remote origini cistercensi. Cosa che, qualora provata – documenti alla mano –, potrebbe configurarlo, ancor più se arrivato per tempo, come dono del cardinale Scipione Borghese, nipote di Paolo V, che del complesso monastico alle porte di Palermo in qualità di abate tenne il patronato dal 1619 al 1633, anno della sua morte; un segno di riconoscenza, un regalo munifico magari all’atto del suo insediamento ufficiale: la copia di una tra le opere della sua straordinaria collezione che sicuramente dovettero stargli più a cuore e per di più densa di intimi significati cristologici.

Bibliografia: Moir 1962, p. 209, n. 47; Moir 1976, p. 88, n. 17g; Bernini 1997, pp. 319-324; Bernini 1999, pp. 200-201.

vincenzo abbate"

2 comentarios:

Anónimo dijo...

Caro Vincenzo,
gradirei avere ulteriori notizie su questa copia di Caravaggio. Sono, fra l'altro, ricercatrice, curatrice di mostre, e dedita in particolare alle collezioni private rinascimentali.

Anónimo dijo...

Perche non:)